sabato 1 settembre 2012

Antonio Ciminiera - dodici poesie, dalla raccolta inedita: « Condannato per insufficienza di prove »







Notizia bio-bibliografica:

Antonio Ciminiera è nato a Potenza ma vive in provincia di Torino da sempre. Si occupa di restauro e del commercio di mobili d’antiquariato.
Nel 1985 ha pubblicato per le Edizioni Pentarco un volume di poesie dal titolo L’ultima estate, Premio Lunigiana per l’editoria ’86; Premio Bardonecchia ’86. Sue poesie sono state pubblicate in numerose Antologie fra le quali gli piace ricordare: Argini, Antologia della nuova poesia italiana curata dal giornalista e critico Fulvio Castellani. Ha vinto diversi Premi letterari anche importanti ma non ama elencarli. Il suo motto è: Il premio che mi gratifica di più e al quale faccio riferimento, è lapprezzamento sincero di chi mi legge. Gli piace sconfinare ogni tanto nella narrativa e ha al suo attivo due romanzi inediti: Flavia dagli occhi d’Irlanda, scritto fra il 2002-2003 e La finestra sul tetto, scritto nel 1986. Nel 1987 ha fondato con la poetessa Fulvia Gambero, il Premio letterario Palazzo Grosso e del quale è stato presidente di Giuria per 11 anni. 



Ad Antonio Ciminiera abbiamo già dedicato un post (si veda: Antonio Ciminiera - Dieci poesie, dalla raccolta inedita: « La stagione dell'amore assurdo » ). 

Nel post menzionato appaiono alcune note intorno alla Poesia di questo Autore. 
Il lettore interessato potrà leggerle sotto il titolo: L’atelier du poète (note sparse sulla Poesia di Antonio Ciminiera).



Sulla raccolta inedita: “Condannato per insufficienza di prove”. Ancora qualche nota sul far poesia di Antonio Ciminiera 

Plato iudicium dedit
Tutto ciò di cui all’uomo perviene testimonianza (sia essa storica o antropologica, o provenga da leggende e miti un tempo affidati alla tradizione orale, o giunga invece attraverso la scrittura e l’arte in tutte le sue forme ed espressioni - purché codificate e sempre decodificabili), tutto ciò che è lascito e testimonianza, dicevo, contiene in sé infiniti elementi di realtà. Elementi che sono particolari, in quanto portatori di altra realtà, ancorché decifrabile e quindi percettibile ai sensi, al sentimento, alla ragione, attraverso il filtro dell’intelletto. Così è anche del Poeta, di cui nulla sapremmo senza i suoi versi, unici testi a carico (mai a discarico in certi casi) in un procedimento di individuazione di colpa. Giacché il Poeta non è mai innocente: egli, posto di fronte ai propri versi, non dirà mai: “Non sono stato io”.
Nel caso specifico - singolare e unico - di Antonio Ciminiera, com’è chiaramente avvertibile sia in queste poesie che in quelle precedentemente pubblicate su questo blog, egli è stato ed è senza alcun dubbio colpevole di intima confidenza, in un rapporto con la Poesia che è quello esclusivo, e socialmente pericoloso, degli amanti. Egli è colpevole di vivere con la maggior dedizione e fedeltà possibile questa sua civicamente inaccettabile, e dunque condannabile, condizione di Poeta. Certo, un’imputazione così decisiva non avrebbe ragion d’essere se ci trovassimo in una Pólis governata in modo equo dai suoi cittadini e non soggetta ad alcuna forma di tirannia (sia pure “illuminata”), perché, in una società di tale tipo, il Poeta non sarebbe altro che un lusso, un superfluo eppure luminoso cantore della Bellezza e della beatitudine del cuore, così come dei sentimenti, le gioie, le sofferenze del singolo. Ma se invece fossimo, come di fatto siamo, immersi in una società del tutto diversa, e penso a quella odierna e globalizzata, dove le tensioni e le sofferenze individuali sembrano tendere a un continuo accrescimento, sembrano volersi fare perfino insostenibili, al punto da diventare istanze inevitabilmente collettive, allora ecco che il ruolo del Poeta e dell’Artista si fa essenziale e realmente determinante nello svelare agli uomini ogni verità mascherata o negata dai detentori del cosiddetto potere costituito. Ma come dice il titolo della raccolta, “Condannato per insufficienza di prove”, da cui le poesie qui pubblicate provengono, le prove a discarico del nostro poeta, vale a dire i suoi versi, sono insufficienti a garantire un verdetto di assoluzione. Il che, in altre parole, vuol dire che tali versi non sono abbastanza irrilevanti, non hanno la necessaria insignificanza, non sono le parti innocue di una vana e vuota pseudo-poesia, che anzi è vero il contrario: c’è nella scelta di vita, nella Poesia e nella Poetica di Antonio Ciminiera una forte, matura consapevolezza di sé e del proprio valore, come c’è il senso della grandissima responsabilità che investe il proprio ruolo di Poeta. E questo, per quanto inverosimile ciò possa apparire, è forse non facilmente, ma certo felicemente deducibile proprio dai versi che egli scrive, dai titoli che dà alle sue poesie e alle sue raccolte. 

Il “tu” come prossimità e alterità 
Io credo che per l’Homo sapiens sapiens il “tu” sia la parola più umana, la più degna da pensare, sentire e pronunciare, e credo che tale parola racchiuda in sé l’alterità per eccellenza, che è anche la maggior prossimità possibile con l’Altro da sé, perché nel “tu” abita ciò che si svela ma rimane pur sempre inafferrabile, e dunque proprio in quell’inafferrabile, misterioso insieme di significati che questa parola riesce a contenere, evocare, rappresentare, sta racchiuso ciò che ad ogni individuo umano è necessario non tanto per esistere quanto, invece, per essere. Questa mia convinzione, per quel che ho potuto sperimentare vivendo, è anche condivisibile e, per fortuna, sufficientemente condivisa, sia nel vivere quotidiano di molte persone sia in campo filosofico, artistico o letterario. Se poi ci riferiamo all’ambito poetico, credo proprio che il “tu” sia il pronome personale più amato e usato da chiunque scriva in versi. Ma com’è ovvio, il preambolo appena fatto intende puntare al cuore dei versi di Antonio Ciminiera, sia quelli di questo post che quelli del precedente. I lettori che come me (o prima di me) si sono accostati alla sua Poesia avranno certo notato come esista nei versi di Antonio un “tu”, assai spesso femminile, cui il Poeta si affida o contro cui lancia la propria sfida in un confronto serrato come con la propria anima, con la propria donna o con una propria trasfigurazione della donna.  Oppure invece, ed è questo il caso più ricorrente, io credo, con la sua problematica esigentissima eppure capricciosa amante, la Poesia. 

Una frase di Ernst Bloch e il coraggio di dire “io” 
“Se qualcuno si incontrasse completamente con se stesso non potremmo più vederlo”, così scrive Ernst Bloch nel suo Das Prinzip Hoffnung (Il principio speranza). Tale frase si presta a svariate interpretazioni e significazioni, questo è indubbio. Tuttavia a me pare di poter dire che la verità della frase sta tutta nell’impossibilita concreta di realizzare una simile assoluta coincidenza, perché non è dato che qualcuno sappia qualcosa di sé se non attraverso il rispecchiamento nell’Altro. Un rispecchiamento che è anche testimonianza, prova e riconoscimento del fatto che questo qualcuno esiste ed è. L’impossibilità blochiana che possa aversi un io totalmente coincidente con se stesso, viene asseverata tramite la sua assoluta non percettibilità.  Purtuttavia è dato a ciascuno di dire “io”, in un atto che non è solo verbale, ma concretamente capace di sopportare interamente le responsabilità individuali e personali che in tale parola sono contenute. E questo vale per ciascuno, così come vale per l’Artista e per il Poeta. Ma, attenzione, anche questo preambolo punta al cuore della Poesia di Antonio Ciminiera, un Poeta che nei suoi versi come nella sua vita mostra senza esitazioni o equivoci tutto il coraggio di dire “io”, vale a dire il coraggio di assumere su di sé un carico di responsabilità individuali che possono anche venirgli dalla cosiddetta necessità della vita, ma che sono il portato fondamentale della scelta di sé come uomo, come Poeta e anche come cittadino, costantemente, apertamente impegnato a rinnovare, a irrobustire le basi della propria, della nostra Pólis, intesa nel senso più ampio, collettivo e umano possibile.
Antonino Caponnetto





Io dormo il sonno degli angeli


io dormo il sonno degli angeli
piombato a queste ali
come fossi un sussurro d’amore
abbandonato alla fonda di ogni lacrima
schiavo di un volo mai raccontato







Città sepolta


[mi contieni in un bicchiere di silenzio]
se ti sapessi ancora vino tracimante [sterile al dolore]
rea di sola ebbrezza
in questo inutile travaglio senza parto
in questa morte che non consente morte
Se ti sapessi arnia di questo amore incolto
almeno un boccale di sola nostalgia [e non di pace]
mi strapperei dagli occhi l’alba di ogni addio
ti strapperei dal cuore la mia città sepolta







Heaven Out of Hell


Cercami
non avere paura
so contenerti in un sospiro
nella clausura delle mie mani
ma fa che per un giorno soltanto
l’inferno sia il paradiso
fa che l’inferno sia il paradiso
perché non navigo ragioni
se non quella dei tuoi occhi







Atto primo


cosa m’invento ora
cosa racconto
a questo cuore alchemico
a questo purgatorio d’altomare
La mia bocca
è un morso d’antracite
un abisso d’inquietudine
che ancora non si serra
in questo vortice di morte
se non per contenere un urlo







Chi di noi due


“chi di noi due cede per primo
se io e te scavati nel cuore
ci arrendiamo muti agli sguardi
e nulla ci contiene
se non la demenza degli anni
l’angoscia di saperci ancora insieme
e lontani”







Vorrei scalare le tue mura


Vorrei scalare le tue mura
fino a raggiungere il sesto della tua memoria
ma non sei che una ragione incerta
il prezzo di un riscatto da pagare ogni volta
anche se t’amo







Cielo d’India


navighiamo di sguardi
indifferenti e puri
e abbiamo il vuoto nella mente
come se il cuore fosse
una promessa da inventare
ma ora siamo ancora qui
così sereni e imprevedibili
chiusi in questo vuoto d’India
e tutto si rivela
fuoco d’argilla
in questa pace arida
che chiamano carne







Presenze


io sono una fiaba o un sospetto di cielo
e se mi perdo ti ritrovo nel medesimo cielo
perché siamo carne soltanto per gioco
anime strappate alla vita e ricucite altrove







Distanze


non so nulla del tuo mutamento
di quella buca che nascondi dentro gli occhi
ma so che il tuo respiro
è un convitto di voci mercenarie
e non ti amo se non di una pietà sovrana
di una distanza che non si può colmare







Invisibili


non chiamatemi dono di Dio

perché stringo fra i denti
il morso della sua indifferenza
Sepolto nella luce bianca
del mio purgatorio
mi rifletto
vuoto nello specchio
codice d’onore nella mente
di chi mi appartenne
e ora non mi vede







E non lasciarmi qui a seminare il cielo


e non lasciarmi qui a seminare il cielo
appartengo alla tua ragione immutabile
a quel capriccio di anime imperfette
a una sola indecifrabile carezza
che dal tuo cuore tentò il suo volo







...Cavalchi le nuvole e non sai

che qui si muore dopo un clic
crocifissi sullo schermo
senza nemmeno un perché 




                                         dalla raccolta inedita: Condannato per insufficienza di prove