giovedì 29 marzo 2012

JUNZABURŌ NISHIWAKI - Cinque poesie tratte da: FAVOLE MODERNE








Junzaburō Nishiwaki (1894-1982) poeta giapponese, saggista e critico. Nonostante la pubblicazione di alcune poesie in inglese, relativamente sconosciuto sia ai lettori di lingua inglese che agli occidentali in generale. Sconosciuto in italia, fatta eccezione per il serio contributo dato in senso conoscitivo dalla rivista IN FORMA DI PAROLE con il citato volume cui ci riferiamo. Venerato in Giappone, Nishiwaki è ampiamente riconosciuto come il fondatore e maestro della poesia giapponese moderna. I critici tendono a sottolineare le influenze europee nella sua poesia, il che ha portato altri a mettere in discussione lo “stile giapponese” del suo canone, in particolare della sua poesia più tarda. Per esempio, Osea Hirata suggerisce che Nishiwaki sia tanto giapponese quanto occidentale e che appartenga nello stesso tempo a entrambe le letterature. Hirata, critico inglese del lavoro di Nishiwaki  ha anche indagato la natura “traslazionale” del linguaggio poetico del poeta, e le somiglianze tra i suoi scritti teorici e quelli del filosofo decostruzionista Jacques Derrida.









Per la strada di Kōshū


Discendi un lungo tratto ed ecco stridìo di cicale
Le bacche rosse ai viburni
Il ratto delle Sabine ovvero una casa di sasso nello stile di Corinto
Guarda ci sta il vecchio fabbricatore di tamburi
Col pigionante, maestro di francese
Che un giorno – dopo melanzane marinate e cavedani in sashimi
A furia di tracannar vino di canna
Ci si paralizzarono le lingue



Versi


Occhio intento al mondo
Trasparenza d’ali di cicala
Ormai solo l’occhio resta
Nell’uomo uccello
Dalla bella testa!
Per la fatale china lamento
Estate di rose
Qualcuno che ha portato fiori di malva
Terra color albicocca
E qualcuno che ha chiesto col braccio proteso indicando
— È quella
Casa tua?
Nel gomito del corso superiore del mercurio
Eruzione dorata di fiori d’altea
Tra le gambe della donna che s’arrampica sull’albero
Estasi a ventaglio
Inarcata crisi
Il giorno che la formica sale lungo il mirto crespo
Qualcuno in ozio sul ciglio della strada



Malinconia  di Dolben poeta della natura


Stanza prima

Su gialle pasture
Sto in poltrona
Una foglia di trifoglio appiccicata nel mezzo della fronte
Lascio lo sguardo naufragare lontano

Affacciarsi da un arbusto di fatsia
E sorridere non è comodo ma insomma
Si può fare

Sdraiato come una forbice d’oro
Dentro un tappeto steso nel deserto
Ogni momento scruto verso la moschea
Che avvisa se di fumare il sigaro sia arrivata l’ora
Ma dalla torre non viene melodia


Stanza seconda

Colgo viole come un kōtō  a sette corde nei campi a primavera
Rovescio il mare in una coppa di zaffiro 
E ci affondo la basetta

Bevendo lo sciroppo
Il Serafino vola in cielo
Nero affonda clangore di bronzo
Punto il suo mento verso la donna
O custode levigato!


Stanza terza

E per finire sono diventato gommagutta



Ifigenia mutilata


I

È venuta
Color fiore di biancospino
Violetto di lillà
Chiome bionde
La donna androgina

Cristallo di benzina
Picasso
Nella catena delle sue metamorfosi
Trova ridendo la rosa


2

Storia d’una fessura tra le natiche
Nel blocco di pietra
Testa e braccia
Divelte
Una folta ciocca bionda
Recisa via
Rimane appiccicata sulla schiena
Brama di un’amputata dea di babilonia
Il sentimento del pensiero
Inatteso viene avanti.
Un’estate di sconforto viene avanti
Come viene l’ape ai fiori della vite


3

Hooo
Accarezza col fiato la finestra
Coppa di ghiande e spini
– Ancora non ho fatto mai l’amore
Ma la voce e la figura d’un uomo
M’inseguono da due giorni –
Ha scritto per lettera
La signora preoccupata



Su un disegno di Matisse


Nella nobile dimora antica provveduta
Di terrazza su Rue Bois
Prendendo colazione discorrevo
Con Madame Goiron
Intima di Jean Cocteau
Frumento nella campagna franca
E papaveri rossi dappertutto
Cantava il rossignol
Vigneti lungo la Ronne
Contadini ciarlanti
Con cappelli alla Van Gogh
Né dimentico poi
Sulle rose di rovo
La cesta d’albicocche
Per il vecchio che spiana delle donne
Ogni fossetta di mento o d’ombelico
Ha trovato il liscio disparito l’uomo
E come colui che inventi
Color di carne può ben essere chiamato
Alla festa dell’estate
Liscio, sogno sommo dell’umana stirpe!
La donna dell’estate - ape d’estate
Trafigge le pupille del reale
Dove sono gigli gialli
E l’alba tigre
Viso di donna o matita che compone sull’ardesia
Forse spigolo di gemma di tra volteggianti foglie di platano
Una donna
S’avvicina
Tra le foglie del platano
Viene avanti
Dritta verso di noi
E nel close-up scompare
Né l’uomo che attendeva la richiama
Prende una sigaretta
Alza le palpebre
E fissa la corteccia









L’opera poetica FAVOLE MODERNE, a cura di Ornella Civardi, è apparsa in Italia su « In forma di parole », anno venticinquesimo, La Quarta Serie, numero primo,  gennaio   febbraio   marzo   2005









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2 commenti:

  1. Scrive Ornella Ivaldi nella posfazione alla citata raccolta di poesie FAVOLE MODERNE: Nel 1956 Erza Pound, dopo aver scoperto il poeta giapponese Nishiwaki Junzaburo, lo propose per il Premio Nobel....
    ...Scriveva, Junzaburō, che “l’universo poetico è all’occhio quotidiano il territorio dell’assurdo. Ma esiste un mondo altrove dove questo assurdo cessa di essere assurdo.”
    ... Artista o poeta, per lui poco cambia. “L’esistenza di una poesia, fino a quando non cadrà dimenticata, è di perenne metamorfosi. Credo che la vita della poesia – non è un paradosso – non sussista sotto forma teoretica.”...
    ...La poesia non è che la forma di un momento. “Ma per fermarla, questa forma, venti penne e più ci sono volute, a scrivere e riscrivere una sopra l’altra, né è rimasta traccia della forma primigenia. Sarebbe bello, penso, se Picasso o Matisse avessero lasciato una storia fotografica”...

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  2. Affascinato è dir poco della scrittura di questo grandissimo, a me sinceramente sconosciuto. Le mirabili pitture che tende con la penna sono da ammirare come dei sopraffini ukiyo, forse meglio dire che sono degli ukiyo... Giancarlo Serafino

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